Una analisi delle elezioni Boliviane

Ingegneria Senza Frontiere (ISF) – Firenze ha iniziato un progetto di cooperazione e collaborazione con COSPE e le realtà locali dei dipartimenti di La Paz e Cochabamba in Bolivia. L’accesso alla risorsa idrica in questi contesti è limitato sia dalle condizioni socio-economiche, sia dalle caratteristiche geografiche del paese (comunità isolate e non connesse ai principali servizi) e grandi altitudini.

Per questo motivo abbiamo seguito con attenzione l’evoluzione della crisi politica boliviana, che durava da circa un anno e che ha portato alle elezioni di questo ottobre.

Nell’ottobre 2019 Evo Morales, al potere dal 2006, si ricandidò alle elezioni presidenziali boliviane per il quarto mandato, cercando di superare il limite di 3 mandati (oltretutto messo in costituzione da lui nel 2009 e provato a estendere senza successo nel 2016) attraverso un’eccezione alla legge costituzionale approvata dalla corte suprema di giustizia.
Evo Morales, leader del MAS (Movimento per il Socialismo), ex sindacalista dei lavoratori agricoli, è stato il primo presidente di provenienza indigena e si è distinto per le sue politiche di sviluppo per gli indigeni della regione andina, per la lotta contro la povertà e per le nazionalizzazioni di molti settori produttivi ed estrattivi precedentemente di proprietà di multinazionali straniere, soprattutto statunitensi, ma anche per diverse critiche ricevute da vari ambienti per la sua tendenza all’accentramento del potere.

Alle elezioni del 2019 vinse al primo turno con il 47%, ma le elezioni furono contestate dalle opposizioni e da alcuni osservatori internazionali per dei presunti brogli (successivamente smentiti), contestazioni che portano alla deposizione di Morales da parte di esercito e polizia e all’istituzione di un governo provvisorio presieduto da Jeanine Anez, esponente di spicco della destra boliviana.

Dopo un anno di crisi istituzionale, con un governo deciso dalle forze armate, definito apertamente “golpista” dal MAS e bersaglio di numerose proteste di piazza, sono state indette le nuove elezioni ad ottobre del 2020.
I candidati principali di queste elezioni sono stati Luis Arce, Carlos Mesa e Luis Fernando Camacho. Arce è il candidato de MAS, ex ministro dell’economia di Morales e principale fautore delle politiche contro la povertà. Mesa è il candidato di una coalizione tra liberaldemocratici e socialdemocratici ed è stato presidente della Bolivia dal 2003 al 2005, fu il principale sfidante di Morales anche nel 2019. Camacho è il candidato della destra conservatrice ed era uno dei punti di riferimento della protesta anti Morales dello scorso autunno e del successivo governo di transizione. Jeanine Anez, presidentessa durante la transizione, non si è candidata alle elezioni (appoggiando invece Camacho), perché era estremamente impopolare sia per le numerose proteste contro il suo governo, sia per dichiarazioni razziste fatte in passato contro le popolazioni andine.

Le elezioni hanno visto una vittoria netta da parte di Luis Arce e del MAS con il 55,1% dei voti, che da una parte conferma una volontà della popolazione di continuità rispetto ai governi di Evo Morales, ma dall’altra parte evidenzia risultati migliori rispetto ad Evo Morales nel 2019 (circa 500000 voti in più); questo dato che si può spiegare con il calo di popolarità di Morales negli ultimi anni a seguito della sua eccessiva personalizzazione della politica. Mesa è stato secondo con il 28,8%, perdendo voti rispetto alle elezioni dell’anno precedente. In terza posizione è arrivato il candidato conservatore Camacho con il 14%, che si presentava come volto di continuità del governo di transizione, ma che ha ottenuto risultati molto deludenti ovunque fuori dalla regione di Santa Cruz.


Da un punto di vista etnico il voto evidenzia una grande polarizzazione della politica boliviana, con le grandi comunità indigene andine aymara e quechua compattamente schierate con il MAS, i discendenti dei coloni spagnoli principalmente orientati verso la destra e i mestizos (di discendenza mista europea e indigena) a fare da ago della bilancia. Da un punto di vista geografico, le regioni andine dell’ovest (La Paz, Cochabamba, Oruro e Potosì) sono la roccaforte del MAS, partito formato appunto nella regione andina dai sindacalisti dei minatori e dei coltivatori. Nelle regioni andine si nota una differenziazione delle tendenze di voto tra zone urbane e le zone rurali, con le campagne che votano MAS in maniera plebiscitaria e con Mesa che ottiene i risultati migliori nelle grandi città. Arce, del MAS, è l’unico candidato che ha buoni risultati in tutte le regioni; ha vinto la regione amazzonica del Pando in cui Mesa e Camacho si spartiscono equamente gli altri voti, la regione di Chuquisaca per pochi punti percentuali di vantaggio su Mesa e la regione capitale giudiziaria Sucre. Arce è invece secondo dietro a Mesa nelle regioni del Beni (regione amazzonica, una delle poche dove i 3 candidati principali hanno risultati equilibrati) e di Tarija (regione ricca a sud nella zona pianeggiante del Gran Chaco) e secondo dietro a Camacho nella regione di Santa Cruz, la regione più estesa e popolosa della Bolivia nella parte est del paese, in parte subandina e in parte amazzonica, sede della città di Santa Cruz de la Sierra, la città più popolosa della nazione e storica roccaforte della destra. Mesa, invece, paga la scarsa forza nella regione andina fuori dalle grandi città e i voti persi a favore di Camacho nelle regioni di Santa Cruz, Beni e Pando, mentre Camacho, a sua volta, risente della sua sostanziale assenza fuori dalla regione di Santa Cruz.

Il voto di ottobre testimonia una certa voglia di democrazia del tessuto sociale boliviano in uno scenario difficile immediatamente successivo ai governi di una figura ingombrante come Morales e a un anno di governo golpista con numerose ingerenze esterne. Il popolo ha partecipato con un’affluenza molto elevata (88,4%) alle elezioni, rifiutando fortemente la tendenza autoritaria della destra emersa nell’ultimo anno, ma parallelamente ha mostrato, ad un anno di distanza dalle precedenti elezioni, di non amare la tendenza personalista di Morales e di preferire, sempre all’interno dello stesso partito, una figura nuova e di alto profilo come Arce. I problemi di stabilità della Bolivia rimangono in vista dell’insediamento ufficiale del nuovo presidente, perché la destra golpista di Camacho, pur fortemente indebolita dall’esito elettorale, rimane il partito di maggioranza relativa nell’importante regione di Santa Cruz dove già ha organizzato manifestazioni atte al non riconoscimento delle elezioni, oltre ad avere molti sostenitori nelle forze armate e nelle forze dell’ordine. Inoltre, nei giorni successivi alle elezioni, sono accaduti due gravi fatti di violenza, l’omicidio di Orlando Gutierrez, sindacalista dei minatori vicino al MAS, e un attacco dinamitardo contro una sede del MAS nella quale era presente il presidente eletto Arce.

Lascia un commento